Spesa Sanitaria e PIL: Italia sotto la media

Perché investire in sanità è un volano di crescita economica? Quanto investire in sanità? Queste sono due domande macroeconomiche chiave per inquadrare le dinamiche che muovono le decisioni in ambito sanitario.
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Spesso si sente discutere di finanziamento della sanità pubblica in relazione al PIL, il prodotto interno lordo. Ma quale attinenza ha il PIL con la sanità e perché le dinamiche politiche influenzano così da vicino la sanità?

Un inquadramento macroeconomico della sanità

In sanità si verifica uno degli esempi più complessi di problema economico: la presenza di risorse scarse per potenziali infiniti bisogni di salute. L’economia politica studia le soluzioni che gli uomini usano per risolvere i problemi economici da un punto di vista micro e macro economico.

La macroeconomia, introdotta negli anni ’30 dello scorso secolo da Keynes, guarda al sistema economico nel suo complesso e a come interagiscono tra loro le variabili economiche aggregate. Nello specifico, la macroeconomia si propone di dare una soluzione ai problemi economici mettendo in relazione variabili aggregate, frutto del singolo comportamento dei cittadini, come la domanda e l’offerta, il PIL come risultato della capacità produttiva netta e le determinanti di crescita di un Paese.

Curva di Preston e spesa sanitaria

Nonostante ci siano altri indicatori di sviluppo economico che tengono direttamente conto di variabili come l’educazione, il reddito e l’aspettativa di vita, il PIL è un’indicatore storicamente utilizzato dai macroeconomisti per misurare lo stato di benessere e di ricchezza di un Paese. Nell’ambito sanitario è interessante perché è stato dimostrato come la ricchezza di un Paese in termini di PIL sia associata da vicino al livello di salute dei suoi abitanti.

Il primo a dare una prova basata sui dati di questa relazione fu il professore americano Samuel H. Preston negli anni ’70. Nel suo paper The changing relation between mortality and level of economic development Preston evidenzia come l’aspettativa di vita dei cittadini di un paese sia legata al PIL prodotto dal loro Paese. La curva che unisce i punti i cui si trovano i vari paesi nel mondo assume una forma tipica che si ripresenta guardando alle serie storiche dei dati di diversi anni.

Questa curva ha un aspetto ricorrente tecnicamente detto “logaritmico”, che come evidente nell’immagine sotto – tratta proprio dal lavoro del 1975 del professor Preston – si caratterizza per essere come l’entusiasmo per una novità: all’inizio cresce a dismisura, ma con il tempo tende a stabilizzarsi e difficilmente aumenta oltre un certo punto. Le ricadute pratiche che derivano dal riconoscimento di questo andamento nei dati evidenziano come, all’inizio, piccole crescite di ricchezza di un paese siano subito associate ad un aumento dell’aspettativa di vita, ma come, successivamente, per alzare anche di pochi anni l’aspettativa dei cittadini sia necessaria una crescita molto maggiore di PIL di quello stesso paese.

Preston Curve: relazione tra l’aspettativa di vita sull’asse delle ordinate (y) e la ricchezza del Paese in termini di PIL sull’asse delle ascisse (x). Fonte: Preston, S. H. (1975). The changing relation between mortality and level of economic development. Population studies, 29(2), 231-248.

La stessa relazione che è stata studiata grazie alla Preston Curve si è riscontrata anche nella relazione tra aspettativa di vita alla nascita e spesa sanitaria a riprova del fatto che l’investimento in sanità è un fondamentale volano di crescita e di produttività per un Paese. Questa relazione evidenzia anche come ci sia un importante elemento di efficacia legato all’uso delle risorse in sanità e cioè come alcuni paesi riescano ad avere la stessa aspettativi di vita con investimenti minori rispetto ad altri (al riguardo si vedano come esempio emblematico le differenze tra i paesi Europei versus gli Stati Uniti).

Tra PIL e valore nominale, i dati di spesa sanitaria

Nonostante quanto detto, avendo la salute delle determinanti multifattoriali anche non sanitarie, come gli stili di vita e la componente genetica, è importante trovare il giusto bilanciamento tra i fondi da dedicarle e quelli da investire in altri settori. La presenza di modelli sanitari diversi su cui si basa l’offerta sanitaria presente nei vari paesi del mondo incide direttamente sugli esiti di salute dei propri abitanti, ma non è l’unico elemento chiave.

La scelta valoriale e di posizionamento strategico di come un Paese alloca le proprie risorse finanziarie incide sugli esiti di salute evidenziati dalla Preston Curve. Per questo, è interessante confrontare come diversi paesi allochino, in virtù di scelte più o meno razionali, somme di denaro più o meno consistenti nel settore sanitario. Certo! Ecco un paragrafo che potresti usare per un blog, in uno stile chiaro ma autorevole:

Quando si parla di investimenti pubblici in un settore strategico, come quello sanitario, è fondamentale osservare quanto un Paese destina in termini di punti percentuali del proprio PIL. Questo indicatore ci mostra la “fetta di torta” che viene riservata a quel settore rispetto alla capacità produttiva complessiva del Paese. È importante ricordare, però, che Paesi con PIL diversi, pur destinando la stessa percentuale, avranno somme assolute molto diverse a disposizione.

D’altro canto, leggere i dati solo in valore assoluto può essere fuorviante. Se, ad esempio, un governo aumenta il finanziamento in termini nominali, ma l’inflazione cresce più rapidamente, quel settore in realtà viene sottofinanziato rispetto al passato. Per questo, solo osservando sia la quota percentuale del PIL sia il valore assoluto si può capire se nel tempo un settore viene effettivamente rafforzato oppure se, dietro ai numeri, si nasconde un progressivo impoverimento.

Il giusto equilibrio di spesa sanitaria italiana

Prima di addentrarsi nei dati della spesa sanitaria nazionale per la sanità, si consideri una prospettiva comparativa della distribuzione delle risorse in termini di PIL per settore in diversi paesi tra loro affini culturalmente. I dati, vecchi del 2016, ma che ricalcano anche le analisi più recenti post pandemiche, vedono come la spesa pubblica dell’Italia sia allocata per il 6,9% in sanità, verso il 16,3% in pensioni, l’1,3% in difesa (si vedano al riguardo gli sviluppi macroeconomici alla luce degli attuali accadimenti politici internazionali). Alle stesse voci in Francia è dedicato rispettivamente l’8,1%; 13,8%; 1,8% e nel Regno Unito il 7,6%; 6,1% e il 2%.

I dati pubblici dell’OCSE permettono il confronto tra diversi Paesi europei rispetto alla spesa pubblica pro capite e alla sua incidenza sul PIL. Nel 2019, prima dell’avvento della pandemia, la Germania e la Francia guidavano la classifica degli investimenti in sanità, con una spesa pubblica pro capite rispettivamente di 4.108 € e 3.355 €, pari al 9,9% e 9,3% del PIL. Il Regno Unito seguiva con 3.017 € (8% del PIL), mentre l’Italia era più indietro con 1.921 € e un’incidenza del 6,4%. La spesa complessiva in sanità pro capite vedeva sempre la Germania ancora “in testa” (4.855 €), mentre l’Italia ferma a 2.599 €, pari all’8,7% del PIL. Al tempo, la Grecia chiudeva la “classifica”, con valori molto più bassi sia in termini assoluti che percentuali.

Durante il periodo pandemico da Covid-19, gli investimenti in sanità sono aumentati in molti Paesi sia in valore assoluto sia in percentuale del PIL, riflettendo l’urgenza e la centralità del settore. Tuttavia, in diversi casi, questi incrementi nel finanziamento sanitrio sono stati legati all’emergenza più che a una pianificazione strutturale di lungo termine.

Tuttavia, secondo il rapporto dell’OCSE “Health at a Glance 2023“, nel 2022 la spesa sanitaria media nei Paesi OCSE è scesa al 9,2% del PIL, rispetto al 9,7% del 2021. In tutto ciò, in Italia, la spesa sanitaria pubblica e privata nel 2022 è stata pari al 9,0% del PIL, leggermente inferiore alla media OCSE.

Passata l’urgenza pandemica, l’OCSE sottolinea la necessità di investimenti strategici per rafforzare la sostenibilità nel lungo periodo dei sistemi sanitari, suggerendo un incremento annuo pari all’1,4% del PIL rispetto alla spesa del 2019. Questi investimenti dovrebbero focalizzarsi principalmente sul potenziamento del personale sanitario, sulla prevenzione e sulle infrastrutture tecnologiche. Nel nostro Paese, la spesa per la sanità digitale è cresciuta del 22% nel 2023, raggiungendo i 2,2 miliardi di euro. Tuttavia, permangono sfide legate alla limitata cultura digitale e alla carenza di competenze specifiche.

Il rischio, oggi, è che dimenticata la fase critica e finiti gli investimenti a debito del PNRR si torni a sottofinanziare la sanità, dimenticando quanto sia strategico mantenere un investimento stabile e adeguato, anche in rapporto all’inflazione e all’aumento dei bisogni demografici e tecnologici.

Ai lettori e al prossimo la consapevolezza e le relative scelte.

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