Il Value-based Healthcare (VBHC) è un concetto emerso dagli anni ’90 e successivamente teorizzato dai ricercatori americani Michael Porter ed Elizabeth Teisberg nel libro del 2006 “Redefining health care: creating value-based competition on results“. L’idea centrale di Porter e Teisberg richiama a servizi sanitari trainati dal valore e non dai volumi. Parafrasando, si porta attenzione sulla qualità delle cure piuttosto che sui numeri di prestazioni erogate.
In un contesto di scarsità di risorse e bisogni sanitari emergenti, il framework del VBHC è una strategia che esorta a fornire il massimo valore ai pazienti. Infatti, le riforme necessarie sono quelle, che al di la del mero contenimento dei costi o di risparmi amministrativi, assicurano un vero cambiamento fondante nelle cure sanitarie. Per questo, il modello di Value-Based Healthcare rappresenta una svolta culturale e organizzativa per la sanità. Al centro vi è l’idea che il sistema non debba limitarsi a contenere i costi, ma debba massimizzare il valore per il paziente, inteso come rapporto tra esiti di salute e costi sostenuti.
Per concretizzare la prospettiva del VBHC, l’unità di misura individuata in quanto interesse comune di tutti gli stakeholder coinvolti nel processo di salute è quella dei risultati ottenuti rispetto ad ogni unità monetaria spesa. In quest’ottica, il valore può aumentare riducendo i costi dell’assistenza sanitaria, o migliorando i risultati, o entrambi.
VALORE = RISULTATI / COSTI
Il valore corrisponde agli outcome di salute per il paziente per ogni dollaro speso
Il VBHC è stato operazionalizzato in 6 componenti tra loro complementari:
- Organizzazione delle cure in Integrated Practice Units (IPUs) traducibili come “unità di assistenze integrate” nel senso di aprire le cure alla multidisciplinare assicurando al paziente l’accesso allo specialista più opportuno.
- Misurazione di esiti e costi per ogni paziente per ottimizzare l’uso delle risorse (un po’ come previsto in un’ottica Lean). Senza misurazione degli esiti clinici e i costi lungo l’intero ciclo di cura, non è possibile migliorare in modo sostenibile. I risultati devono includere dati reali, non solo processi, e devono essere pubblici, confrontabili e usati per apprendere.
- Adozione di strategie di finanziamento a bundled payments (letteralmente “a pacchetto”) e cioè un pagamento unico che comprende la prestazione in acuto e la prognosi in base ad un costo standard a prescindere dal numero di luoghi o professionisti sanitari incontrati.
- Integrazione dell’assistenza tra diverse strutture riducendo sempre in ottica Lean la frammentazione e quindi lo spreco di risorse tra diversi setting a causa di scarsa comunicazione.
- Espansione delle best practices su scala geografica per far si che il paziente possa accedere ai servizi su tutto il territorio senza limitazioni logistiche.
- Costruzione di un’infrastruttura informatica per assicurare engagement con il paziente e una rete di professionisti.

Questa prospettiva consente al paziente di essere realmente al centro delle cure e avere i servizi sanitari organizzati secondo i suoi bisogni e a partire dai bisogni stessi, non al contrario. La pratica clinica deve essere organizzata attorno a condizioni mediche e cicli completi di cura, non per specialità. Questo implica team multidisciplinari integrati e coordinamento lungo tutto il percorso del paziente lungo prevenzione, diagnosi, trattamento e riabilitazione, follow-up, e gestione cronica.
Infatti, per realizzare questa visione, è necessario riorganizzare l’assistenza attorno a condizioni mediche e ai relativi cicli completi di cura, coinvolgendo team multidisciplinari integrati. Fondamentale è anche la misurazione trasparente degli esiti e dei costi, unico strumento per migliorare davvero. Gli autori sostengono che solo una competizione virtuosa sui risultati, e non sui prezzi, potrà generare innovazione, qualità e sostenibilità nel sistema sanitario. In questo processo, la leadership dei sanitari è cruciale: sono loro a dover guidare il cambiamento, abbandonando modelli tradizionali e settoriali per non rimanere intrappolati nella burocrazia.
Inoltre, gli autori propongono una competizione positiva, basata sui risultati (e non sul potere negoziale), che premi l’innovazione, la qualità e la trasparenza. Per questo Porter e Teisberg criticano approcci parziali come l’Integrated payer-provider che rischiano di opprimere la concorrenza se non trasparenti, l’accentramento del potere nel modello del single payer che rischia di impedire l’innovazione, il consumer-driven care che come modello scarica sui pazienti il compito di orientarsi in un sistema troppo complesso e il pay for performance che incentiva la conformità a processi, non i veri risultati.
Infine, nel modello VBHC, tutti gli attori del sistema – pazienti, medici, ospedali, assicurazioni e l’intera società – possono “vincere” assicurando la creazione di valore.