Il Federalismo sanitario e la riforma del Titolo V in sanità

Il Federalismo sanitario è quella configurazione di funzionamento dei sistemi sanitari che si fonda sulla presenza di molteplici realtà autonome connesse tra loro da un vincolo normativo condiviso. Nella sanità italiana, la presenza di tale autonomia è prevista dalla Riforma del Titolo V della Costituzione.
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In Italia esiste un unico Sistema Sanitario Nazionale (SSN) di impianto Beveridge che ha però la peculiarità di essere fondato sulla presenza di 21 Sistemi Sanitari Regionali (SSR) che contribuiscono a costituire un panorama di Federalismo sanitario, quella configurazione di funzionamento che si fonda sulla presenza di molteplici realtà autonome connesse tra loro da un vincolo normativo condiviso. La presenza di tale autonomia è prevista dalla Riforma del Titolo V della Costituzione all’interno di un quadro di previsione nazionale di un unico Sistema sanitario come da Legge istitutiva 833 del 1978.

Cos’è il Federalismo sanitario

Il concetto di federalismo sanitario è radicato nel filone teorico del federalismo come visione politica in cui coesistono due condizioni chiave. La prima è la prossimità geografica di molteplici realtà o comunità con visioni e culture simili; la seconda è invece la volontà di mantenere l’indipendenza e quindi un’autonomia di governo a livello locale. Noti casi di federalismo come impianto democratico di funzionamento politico sono offerti dagli esempi degli Stati Uniti d’America e dall’impianto federativo dei Lander della Germania in cui coesistono sotto un’unica bandiera molteplici “Stati federativi”.
Il federalismo in sanità ricalca quindi negli stessi principi del più ampio filone descritto. In Italia, il livello “federativo” identificato coincide territorialmente con il livello amministrativo delle 19 Regioni e le due Province Autonome di Trento e Bolzano.

Il Federalismo sanitario può essere a tutti gli effetti considerato un modello organizzativo di funzionamento in quanto è una delle possibili forme che le relazioni tra le parti di un sistema possono assumere per permettere il raggiungimento di una finalità come quella di erogazione di prestazioni sanitarie. A differenza dei modelli organizzativi delle aziende sanitarie – che si occupano del funzionamento di ospedali, cliniche e strutture sanitarie a livello micro – il modello del federalismo è una delle configurazione organizzative di livello macro in cui può essere organizzata la sanità nazionale.
Nel panorama sanitario si possono infatti individuare, schematicamente e a mero esempio esplicativo, molteplici livelli organizzativi di governo della sanità.

  • Il livello macro di funzionamento più ampio è quello nazionale rappresentato dal modello organizzativo nazionale che in Italia è costruito su un impianto Beveridge come previsto dell’articolo 32 della Costituzione ed attuato con la Legge di istituzione del Sistema Sanitario Nazionale nel 1978.
  • Il livello intermedio è quello rappresentato dalla governance a livello locale tramite i 21 Sistemi Sanitari Regionali come previsto dalla Riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001.
  • Il livello micro è quello rappresentato dal modello organizzativo adottato dalle singole Aziende sanitarie che, pur godendo di autonomia giuridica, sono chiamate a fare riferimento alle direttive decise a livello regionale.
    Ad onor del vero, è possibile individuare ulteriori elementi di governo, complessità e di dettaglio anche all’interno della singola Azienda sanitaria. Le Aziende sanitarie possono infatti essere costituite da più distretti ed ospedali, ognuno dei quali può essere suddiviso in dipartimenti e nuclei per funzione omogenea, per specialità clinica o per area anatomica che devono però contribuire alle logiche aziendali. Il livello organizzativo più micro può essere identificato nell’equipé di lavoro.
Per governo in sanità, spesso identificato nel termine inglese governance o clinical governance, si intende la funzione strategica di sistema per cui si integrano le azioni cliniche, quelle tecniche e quelle amministrative per l'erogazione della funzione sanitaria in modo coordinato. Gli elementi costituenti sono la formazione, la gestione del rischio (risk management), la verifica clinica (clinical audit), la trasparenza nella comunicazione e nella gestione delle informazioni, l'attività di ricerca e sviluppo, il perseguimento e la verifica dell'efficacia clinica.

Conoscere il funzionamento del federalismo è importante nel contesto della sanità pubblica italiana perché ne permette di leggere e governare le logiche con cui si realizza nella realtà. In ultima istanza, il federalismo sanitario riguarda il modo in cui vengono organizzati, finanziati e distribuiti i servizi sanitari su scala territoriale. Questo modello influenza direttamente l’accesso, la qualità e l’efficienza dell’assistenza sanitaria per i cittadini.

La Riforma del Titolo V della Costituzione

Il federalismo sanitario in Italia ha avuto un’evoluzione graduale, passando da un modello centralizzato a uno sempre più decentralizzato.
Inizialmente, il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), istituito nel 1978, prevedeva, infatti, un’organizzazione centralistica con un forte ruolo dello Stato nella pianificazione e gestione della sanità. Successivamente, un primo passo verso il decentramento è avvenuto negli anni ’90 con il Decreto Legislativo 502/1992 e successive modifiche, che hanno rafforzato l’autonomia gestionale propria delle Regioni. La svolta decisiva è arrivata, infine, con la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 avvenuta tramite legge costituzionale e confermata con un referendum.

Il "Titolo V", che si trova nella Parte II della Costituzione - quella dedicata all'ordinamento della Repubblica e che comprende gli articoli 114-133 - è una sezione della Costituzione Italiana che disciplina l’ordinamento delle autonomie locali, ovvero il rapporto tra Stato, Regioni, Province, Città metropolitane e Comuni. 
Con la riforma del Titolo V, insieme alla sanità, le Regioni hanno acquisito maggiore autonomia anche in materia di istruzione e trasporti.

Questa riforma è entrata nella storia della sanità italiana come una pietra miliare nel processo di federalizzazione poiché ha attribuito alle Regioni la competenza esclusiva nell’organizzazione e gestione dei servizi sanitari, mentre ha lasciato allo Stato la competenza nel definre i principi fondamentali. La riforma del Titolo V rappresenta il passaggio cruciale che ha introdotto e formalizzato il concetto di federalismo sanitario in Italia perché ha modificato profondamente la ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni.

Prima della riforma del Titolo V della Costituzione, la sanità era gestita in modo centralizzato, con le Regioni che avevano solo un ruolo amministrativo. Con la modifica del 2001 degli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione, è stata ridefinita la competenza in materia di sanità tra Stato e Regioni. Da questo momento è stata assegnata alle Regioni la competenza esclusiva nell’organizzazione e gestione dei servizi sanitari, lasciando allo Stato solo il compito di definire i principi fondamentali e i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA).

Questa trasformazione ha sancito il passaggio da un sistema unitario a un modello decentrato, in cui le Regioni possono legiferare e gestire autonomamente le risorse sanitarie a loro in parte ripartite dallo Stato stesso. Il processo descritto viene spesso identificato con il termine “Regionalizzazione” in quanto ha portato a una maggiore differenziazione tra le regioni, con territori più efficienti e altre che hanno faticato a garantire servizi di qualità e sostenibilità finanziaria al sistema sanitario stesso.

Il finanziamento avviene principalmente attraverso il Fondo Sanitario Nazionale (FSN), ripartito tra le Regioni in base a criteri demografici e di fabbisogno sanitario, sebbene le Regioni a statuto speciale abbiano maggiore autonomia finanziaria. Un ruolo fondamentale nella governance sanitaria è svolto dalla Conferenza Stato-Regioni, che funge da sede di confronto tra governo centrale e amministrazioni regionali. Attraverso il meccanismo dell’intesa, Stato e Regioni concordano su materie di interesse comune, come la definizione dei LEA, la ripartizione dei fondi o le strategie di emergenza sanitaria, garantendo un equilibrio tra autonomia e coordinamento nazionale.

Le differenze regionali e l’evoluzione del federalismo sanitario in Italia

La Riforma del Titolo V della Costituzione ha quindi istituzionalizzato il federalismo sanitario, rendendo la sanità un ambito in cui le politiche regionali hanno un impatto diretto sulla vita dei cittadini, generando al contempo opportunità di innovazione, ma anche forti disuguaglianze territoriali. Le differenze organizzative territoriali emerse dal 2001 hanno comportato altrettante performance dei relativi Sistemi Sanitari regionali esplicabili confrontando anche solo superficialmente il funzionamento adottato da tre Regioni emblematiche come il Veneto, la Toscana e la Puglia.

Il Veneto si distingue per un modello sanitario affidato ad un Ente Regionale dedicato, Azienda Zero. Questo si occupa di gestire le politiche sanitarie così come da indirizzo della Regione e nel contempo coordina il funzionamento di 9 Aziende Sanitarie Locali (AULSS), di due Aziende Ospedaliero-Universitarie (AOU di Padova e Verona) e di un un IRCCS (l’Istituto Oncologico Veneto – IOV). La Toscana è nota per un impianto simile a quello Veneto, con la differenza di avere un ruolo di supporto, con funzioni tecniche ed amministrative a minor indirizzo di politiche sanitarie che rimangono invece in capo diretto alla Regione Toscana. Inoltre, le Aziende Sanitarie e quelle Ospedaliere sono raggruppate in tre aree per prossimità geografica. La Puglia, regione che da sempre affronta criticità legate alla mobilità passiva verso altre Regioni, non ha invece un livello di governo sanitario dedicato – anche se le discussioni in materia si susseguono da anni – ed è organizzata per ASL, AOU e IRCCS indipendenti.

Nonstante la recente Riforma, dopo il 2001, il federalismo sanitario in Italia ha continuato a evolversi attraverso una serie di interventi normativi volti a correggere le disparità regionali, migliorare la sostenibilità finanziaria del sistema e rafforzare il coordinamento tra Stato e Regioni. Di seguito le principali correzioni adottate in seguito alla Riforma:

  1. Patto per la Salute e nuovi criteri di finanziamento
    Negli anni successivi alla riforma, lo Stato ha introdotto vari “Patti per la Salute” e cioè degli accordi tra Governo e Regioni per regolare il finanziamento del SSN e garantire i LEA uniformi.
    Il Patto per la Salute 2006-2008 ha introdotto criteri più rigorosi per la distribuzione delle risorse basati su indicatori di bisogno sanitario, mentre quelli successivi hanno cercato di riequilibrare il rapporto tra spesa pubblica e qualità dei servizi.
  2. Piani di rientro e commissariamenti
    Per contrastare i disavanzi sanitari di alcune Regioni, e cioè quel regime di spesa pubblica in cui le uscite superano le entrate, dal 2007 il Governo ha avviato i piani di rientro, una strategia che prevede misure di contenimento della spesa e miglioramento dell’efficienza tramite il commissariamento delle Regioni che non rispettano i vincoli di bilancio. Questo meccanismo ha rafforzato il controllo centrale, limitando in alcuni casi l’autonomia regionale proprio in virtù di evidenti difficoltà locali ad amministrare la materia sanitaria.

    Quando una Regione viene commissariata in ambito sanitario, perde parte della sua autonomia gestionale perché non è in grado di garantire l’equilibrio finanziario del Servizio Sanitario Regionale. Il commissario, solitamente il Presidente della Regione o una figura tecnica esterna, è nominato dal Governo, su proposta del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia, con un apposito Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Il commissario ha il compito di attuare un piano di rientro, adottando misure per risanare il deficit sanitario e migliorare l’efficienza della spesa pubblica. Durante il commissariamento, la Regione perde la possibilità di prendere decisioni autonome in materia.
  3. Introduzione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA)
    Anche se già previsti molti anni prima, i LEA sono diventati, in particolare dalla Riforma del Titolo V, uno strumento di governo per assicurare omogeneità nelle prestazioni sanitarie erogate su tutto il territorio nazionale, a supporto delle autonomie regionali appena rafforzate. Cinonostane, l’aggiornamento dei LEA del 2017, con cui si è ampliato e modernizzato l’elenco delle prestazioni sanitarie garantite su tutto il territorio nazionale, è stato particolarmente sentito a fronte di evidenti differenze nella capacità delle Regioni di erogare i servizi previsti in cui da tempo si evidenziano sempre più evidenti disparità territoriali.
  4. L’esperienza della pandemia da COVID-19 e il temporaneo ritorno del coordinamento centrale
    La crisi sanitaria da COVID-19 ha messo in evidenza i limiti del federalismo sanitario, con risposte molto diverse tra le Regioni e difficoltà di coordinamento tra livello centrale e periferico. Questo ha portato a un rafforzamento temporaneo del ruolo di coordinamento delle politiche sanitarie allo Stato per la gestione dell’emergenza “oltre i fittizzi confini regionali”. Ciò è avvenuto con la centralizzazione a livello statale dell’acquisto e della distribuzione di vaccini e dispositivi sanitari come le mascherine, nonché con e la definizione di strategie comuni per il contrasto alla pandemia come le note misure di confinamento, i lockdown, e le zone rosse.

Il federalismo sanitario alla luce del Titolo V tra vantaggi, dibattiti e sfide future

La Riforma del Titolo V, ha concesso autonomia organizzativa attraverso la responsabilizzazione delle amministrazioni regionali, ma al contempo ha portato a una maggiore diversificazione regionale, con differenze significative nella qualità e nell’accesso alle cure. Da questa controversa previsione emergono anche in sanità vantaggi e sfide tipiche dell’organizzazione federale.

Tra i pro si annovera come le Regioni e le Province Autonome, godendo di autonomia locale con un decentramento del governo, possano godere di maggiore adattabilità alle esigenze peculiari del territorio di riferimento. Similmente, un vantaggio del governo su un territorio regionale più contenuto di quello nazionale permette la più flessibile e dinamica promozione e sperimentazione locale di innovazioni tecnologiche o organizzative. A sua volta, il livello nazionale, qualora ricettivo con una visione complessiva dell’andamento delle politiche sanitarie, può direttamente beneficiare delle best practices implementate a livello locale e frutto della libertà di creare soluzioni diverse.

Dall’altra parte, il dibattito contro il federalismo sanitario si concentra sulle disuguaglianze territoriali emerse dalle diverse politiche sanitarie regionali e dalla necessità di un coordinamento più efficace tra Stato e Regioni per garantire equità nel diritto alla salute su tutto il territorio nazionale.

Il federalismo sanitario pone una sfida significativa nel garantire equità nell’accesso alle cure a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro regione di residenza. La sanità è un diritto universale, ma il federalismo può creare disparità tra territori con risorse e capacità gestionali diverse.

Anche in sanità si sente, infatti, spesso parlare di “un’Italia che va a due velocità” con evidenti impatti sulla qualità dei servizi e sull’equità di accesso come evidenziato dal problema delle liste d’attesa. Cioè è dovuto, oltre ai diversi impianti amministrativi e dalle competenze manageriali, anche alle diverse scelte di commistione tra pubblico e privato e dai partenariati attuati nelle varie regioni.

Inoltre, tra le prospettive future, attualmente il dibattito si articola anche attorno alla Riforma dell’autonomia differenziata, che potrebbe ampliare ulteriormente il potere delle Regioni nella gestione sanitaria, e su nuove strategie per ridurre il divario Nord-Sud. Parallelamente, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha stanziato risorse significative per potenziare la sanità territoriale e digitale, con l’obiettivo di migliorare l’efficienza e l’uniformità dei servizi sanitari in tutto il Paese. In sintesi, negli ultimi decenni il federalismo sanitario ha subito un’evoluzione caratterizzata da una maggiore autonomia regionale, ma anche da un intervento centrale sempre più marcato per correggere squilibri e garantire la sostenibilità del sistema. Il futuro della sanità italiana dipenderà dalla capacità di trovare un equilibrio tra autonomia, equità e sostenibilità finanziaria.

Infine, ultimo elemento da citare riguardo al federalismo sanitario, così come in tutti gli altri aspetti organizzativi che caratterizzano le società d’oggi e che deve far riflettere rispetto a future riforme, riguarda la spinta al globalismo, quel fenomeno secondo il quale gli Stati sembrano “essere diventati troppo grandi per le cose piccole, e troppo piccoli per le cose grandi”. La globalizzazione fa riferimento a logiche di mercato che si sono espanse oltre ai confini locali e che quindi esigerebbero che le scelte, per essere competitive e beneficiare di logiche di scalabilità, dovrebbero essere attuate su livelli almeno nazionali, se non addirittura internazionali al dì la delle sovranità nazionali tradizionali in un’ottica di politiche globali.

In sintesi, il federalismo sanitario è uno dei molteplici strumenti di governance sanitaria. Applicarlo al meglio implica bilanciare l’autonomia regionale con il principio di equità previsto a livello nazionale dalla Costituzione, garantendo che la salute rimanga un bene collettivo e accessibile a tutti.

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