Abolizione minimi tariffari in sanità

Se per il settore pubblico della sanità esistono previsioni che allineano su tutto il territorio i prezzi delle prestazioni all’interno di range nazionali e regionali, nel privato – in seguito all’abolizione dei minimi tariffari – ciò è venuto meno in un’ottica di libero mercato.
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Quando si parla dell’abolizione minimi tariffari in sanità si entra nel campo della remunerazione dei professionisti in regime di libera professione attualmente in vigore, un argomento da una parte a tutela del professionista stesso, dall’altra un vincolo alla sua potenziale crescita nel mercato.

Infatti, oltre alle propensioni personali dei singoli sanitari, uno degli elementi che, come in tutte le professioni, guida il sanitario nella scelta dell’ambito in cui agire le proprie competenze – pubblico, totalmente privato o privato convenzionato – e in questi ultimi due casi – in libera professione o all’interno di organizzazioni strutturate – attiene all’aspetto economico.

Se nella sanità pubblica gli stipendi dei professionisti sono legati ai Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro (CCNL), mentre nel contesto privato, in base all’associazione della struttura si trovano applicati diversi CCNL (tra i più famosi si citano quelli AIOP e ARIS) affiancati da accordi integrativi oppure, soprattutto al di fuori delle organizzazioni strutturate, la previsione di accordi liberamente scelti tra paziente e professionista regime di partita IVA.

Tralasciando le differenze tra i CCNL pubblici e privati – che esulano dal tema di questo breve articolo e che vanno dalla costituzione del rapporto di lavoro, passando per gli orari di lavoro, la quota di giorni di ferie e di permessi per il dipendente, trattamento della malattia e dell’infortunio, agli straordinari e alle indennità, ai diritti per lo studio fino ai provvedimenti disciplinari – la retribuzione del libero professionista nel libero mercato in sanità può essere la più disparata, con una variabilità all’interno della stessa disciplina anche molto ampia.

Questa variabilità è frutto delle dinamiche di mercato alla luce del liberalismo che si è imposto sul territorio nazionale anche in materia di sanità.

Pro e contro dell’abolizione dei minimi tariffari in sanità

L’abolizione dei minimi tariffari in sanità è avvenuta nel 2006 con la Legge BersaniLegge 4 agosto 2006, n. 248 – all’interno di in un piano più ampio di liberalizzazioniper il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale“. L’obiettivo principale dell’allora Ministro dello sviluppo economico, Pier Luigi Bersani, era quello di aprire il mercato dei servizi professionali regolamentati, non solo sanitari, e favorire la concorrenza. Le ragioni chiave dietro questa riforma puntavano a:

  1. Favorire la concorrenza

    L’eliminazione dei tariffari minimi mirava a far venire meno le barriere che limitavano la competizione tra i professionisti. Prima del Decreto Bersani, molti Ordini professionali avevano stabilito dei compensi minimi sotto i quali non era possibile scendere. Questo creava una situazione di oligopolio, dove i professionisti non potevano differenziarsi tra loro sulla base del prezzo, livellando così la produttività e impedendo il riconoscimento delle peculiarità del singolo.

    Con l’abolizione dei minimi tariffari dei compensi, i professionisti sono stati liberi di concordare direttamente con i clienti il costo delle loro prestazioni, favorendo la concorrenza in termini di prezzo e qualità. All’interno dei noti meccanismi di asimmetria informativa, ciò ha comunque permesso la creazione di sistemi naturali di premialità verso i professionisti più adeguati ai bisogni sul mercato.
  2. Ridurre i costi per i pazienti-consumatori

    Uno degli scopi centrali della riforma nella sua totalità era ridurre i costi dei servizi professionali per i cittadini e le imprese. I tariffari minimi, infatti, potevano contribuire a mantenere prezzi elevati per alcune prestazioni, anche quando la qualità del servizio o le condizioni del mercato apparentemente non giustificavano tali compensi. Senza i minimi tariffari, i professionisti sanitari hanno potuto offrire al paziente-consumatore anche l’elemento economico per la scelta della prestazione e non solo elementi come la vicinanza o la qualità riferita.
  3. Promuovere l’accesso al mercato per i giovani professionisti

    Il sistema dei tariffari minimi proteggeva soprattutto i professionisti già affermati, mentre per i giovani professionisti poteva rappresentare una barriera all’ingresso. I neolaureati e coloro che si affacciavano singolarmente per la prima volta al mercato potevano essere svantaggiati, poiché non avevano la possibilità di differenziarsi attraverso offerte più economiche rispetto ai colleghi più esperti. Eliminando i minimi, i giovani professionisti hanno potuto iniziare a competere offrendo tariffe più basse e avere così maggiore accesso al mercato, facilitandosi la creazione di opportunità lavorative.
  4. Modernizzare il mercato dei servizi professionali in ottica neoliberale

    L’abolizione dei tariffari minimi si inseriva anche in un contesto più ampio di volontà di rendere i servizi professionali più flessibili e adattabili alle esigenze del mercato. Eliminare le tariffe imposte ha permesso una maggiore libertà contrattuale tra professionisti e clienti-pazienti, in linea con l’approccio economico neoliberale che vede nella libertà di mercato un volano di sviluppo.

L’abolizione delle tariffe minime non è stata accolta senza polemiche. Alcuni professionisti e Ordini hanno sollevato diverse preoccupazioni legate alla sfera della qualità dei servizi e alla valorizzazione delle competenze specifiche. L’assenza di tariffe minime ha spesso portato ad una competizione basata solo sul prezzo, rischiando di abbassare la qualità dei servizi offerti e ad una svalutazione della qualità del lavoro. Ciò avviene in particolare a causa del fenomeno delle “false partite IVA” e cioè quei regimi di subordinazione di un libero professionista che mettendo a disposizione del mercato le sue competenze all’interno di piccole-medie strutture organizzate riferimenti per i pazienti ha portato a concorrenza sleale. Alcuni professionisti hanno poi lamentato il rischio che i professionisti meno qualificati potessero sfruttare la libertà tariffaria per offrire servizi a prezzi stracciati, danneggiando chi nel tempo si era creato un nome grazie alla qualità del lavoro proposta.

I codici ATECO

Nel contesto del libero mercato, i professionisti sanitari che agiscono in regime di libera professione inquadrano le loro prestazioni secondo la classificazione delle attività economiche ATECO (ATtività ECOnomiche) proposta dall’Istituto nazionale di statistica italiano (ISTAT) per le rilevazioni statistiche nazionali di carattere economico adottata sull’impianto europeo proposto dall’Eurostat. La classificazione prevede una stringa alfa-numerica dove le lettere indicano il macro-settore di attività economica ed i numeri la declinazione, dal generale al particolare, dei vari settori.

I codici identificano, al momento dell’apertura della partita iva, il tipo di “attività economica” associata alle prestazioni svolte. Questi rivestono un ruolo cruciale anche nel settore delle professioni sanitarie, mediche e non mediche, nel contesto del libero mercato in sanità. Questi codici classificano in modo univoco le attività economiche, consentendo di identificare con precisione la tipologia di servizio sanitario offerto, sia che si tratti di prestazioni mediche specialistiche, sia di altre prestazioni erogate come le cure infermieristiche o fisioterapiche.

Le attività erogate da professionisti sanitari non medici, come gli infermieri, fino al 2025 erano riunite sotto un unico generico codice: 89.90.29 “Altre attività paramediche indipendenti n.c.a.” e faceva riferimento a  genericamente "i servizi di assistenza sanitaria non erogati da ospedali o da medici o dentisti: attività di infermieri, o altro personale paramedico nel campo dell’optometria, idroterapia, massaggi curativi, terapia occupazionale, logopedia, chiropodia, chiroterapia, ippoterapia, ostetriche eccetera, o anche attività del personale paramedico odontoiatrico come gli specialisti in terapia dentaria, gli igienisti".

Con i codici ATECO aggiornati al 2025, che sostituiscono i precedenti del 2007, le professioni sanitarie non mediche hanno visto associarsi un codice identificativo specifico che ne permetterà la puntuale identificazione per tutti gli adempimenti di tipo statistico, amministrativo e fiscale.

Ecco alcuni codici aggiornati:
- 86.21.00 Attività di medicina generale (invariata)
- 86.23.00 Attività degli studi odontoiatrici e 86.23.00 Attività odontoiatriche (invariate)
- 86.93.00 Attività di psicologi e psicoterapeuti, esclusi i medici (precedentemente 86.90.30 Attività svolta da psicologi)
- 86.94.01 Attività infermieristiche e 86.94.02 Attività ostetriche (nuove)
- 86.95.00 Attività di fisioterapia (precedentemente 86.90.21 Fisioterapia)

Nel libero mercato, i codici ATECO favoriscono la trasparenza fiscale e amministrativa, facilitando l’accesso a incentivi, agevolazioni e regolamentazioni specifiche per il settore. Inoltre, promuovono una concorrenza equa, garantendo il rispetto degli standard professionali e normativi, e agevolano la tracciabilità e l’analisi economica dettagliata del comparto sanitario su tutto il territorio nazionale.

L’equilibrio tra la reintroduzione di tariffari minimi e la totale liberalizzazione del mercato supportata dai più aggiornati codici ATECO è un tema delicato che richiede la ponderazione, supervisionata dagli Ordini professionali dei sanitari, consona da una parte a valorizzare in termini economici le prestazioni, ma senza innescare svilenti gare al ribasso.
In questo senso, le tariffe minime dovrebbero essere ponderate per ogni disciplina per variabili attinenti, come ad esempio la complessità della prestazione, la specializzazione richiesta, il tempo d’erogazione, la durata della gestione del caso, il costo delle risorse utilizzate ed il setting richiesto.

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